Astensionismo

Astensionismo
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La libertà è davvero solo partecipazione?

Il voto è da sempre una delle istituzioni più importanti mai create dall’uomo.

Parlare di democrazia già per l’Antica Grecia sarebbe sicuramente un’iperbole, eppure già all’epoca i pochi fortunati riconoscevano l’importanza di accorrere in piazza per esprimere la propria opinione.
Cos’è cambiato allora? Perché in Italia siamo passati dal record positivo di affluenze del 1976 (93,49%) ad un misero 63,91% nel 2022?
Quello dell’astensionismo è un fenomeno che ribalta completamente lo scenario politico. In una sfrenata e ossessiva caccia ai voti, dove i partiti si danno battaglia fino all’ultimo colpo, quasi 1/3 della popolazione preferisce non esprimersi. Il loro silenzio ci dice però molto della situazione attuale in Italia.

Astensionismo

L’astensionismo può originarsi da due pensieri diversi: da una parte, il totale disinteresse verso la politica e dunque l’assenza di un'opinione vera e propria in materia; dall’altra, una presa di posizione passiva nei confronti del palcoscenico governativo odierno. In quest’ultimo caso l’ideologia e l’opinione sono presenti; ciò che porta però le persone a non votare è, a detta loro, la mancanza di un’effettiva “buona scelta”. Votare il “meno peggio" a molte persone non basta più. Se si cambia punto di vista per un attimo, quindi quello degli astensionisti può essere visto come un vero e proprio movimento e non come un semplice gruppo di eterni indecisi.

Questi 17 milioni di cittadini, che decidono di non schierarsi, hanno definitivamente perso la fiducia nella politica?
A partire dal 1994, infatti, quello del “non voto” ha iniziato a competere con il primo partito in Italia per il gradino più alto del podio. Il 1994 per la storia italiana non è affatto un anno qualunque. In quegli anni infatti vi fu un avvenimento che segnò la politica italiana in modo irreversibile: il processo “Mani Pulite”. Un fatto particolarmente emblematico di Tangentopoli che ha contribuito a far perdere la fiducia nella politica è il cosiddetto "Pentapartito", ovvero l'accordo tra le cinque principali forze politiche italiane (Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano, Partito Comunista Italiano, Partito Liberale Italiano e Partito Repubblicano Italiano) per spartirsi il potere e le cariche pubbliche. Questo accordo, che venne reso pubblico dalle intercettazioni delle indagini di Tangentopoli, dimostrò come i partiti fossero più interessati a mantenere il loro potere e privilegi piuttosto che a servire gli interessi dei cittadini. Proprio in quegli anni inoltre in seguito ad un malcontento popolare per la politica ormai immobile a causa dell’egemonia della Democrazia Cristiana e la conseguente richiesta di una riforma elettorale venne proposto e approvato il “Mattarellum”. Questo, oltre a modificare il sistema elettorale in un’ottica di prevalenza maggioritaria, si poneva l’obiettivo di diminuire il peso dei partiti e ottenere un rapporto più diretto tra elettori ed eletti. A quanto dimostrano i dati, gli obiettivi non vennero mai centrati e non si riuscì dunque a trovare una soluzione efficace all’eccessiva partitocrazia che si è protratta fino ai tempi nostri. Ad oggi dunque gli italiani hanno estrema difficoltà a trovare un partito coerente e ciò in molti casi porta a perdere la fiducia e conseguentemente la voglia di votare.
Un esempio calzante è il Movimento 5 Stelle che si era ripromesso di portare a termine svariati progetti, abbandonando poi gran parte di questi, tra i quali ad esempio la riduzione del costo della politica.

Un altro aspetto da analizzare se si parla in particolar modo delle ultime elezioni è quello riguardante i fuori sede e la difficoltà di votare. In Italia è difficile trovare dati sulla mobilità interna, poiché ogni cittadino può muoversi liberamente sul territorio nazionale. Gli ultimi dati ISTAT risalgono dunque al 2018 e stimano un numero di 591 mila i ragazzi che non studiano nella propria città d’origine.
Il 22 dicembre 2021 è stata istituita la “Commissione degli esperti” per indagare le cause dell’astensionismo e nell’aprile del 2022 è stato pubblicato il Libro Bianco "Per la partecipazione dei cittadini: come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto". Anche in questo rapporto ufficiale è emersa la problematica del cosiddetto “astensionismo involontario", proprio in riferimento alla difficoltà di votare per i fuori sede.

A gennaio di quest’anno, il PD ha proposto un disegno di legge per garantire il diritto di voto a chi abita fuori dalla propria residenza. Mi auguro che possa essere approvato il prima possibile, poiché è paradossale pensare che esista una legge che garantisce il voto a coloro che si trovano, anche temporaneamente, all’estero, ma lo stesso non avviene per quanto riguarda gli spostamenti interni alla nazione.
In concomitanza con le elezioni del 25 settembre, per colmare questo vuoto legislativo, il governo ha garantito sconti fino al 70% su quasi tutti i treni. È bene però evidenziare come anche nel settore dei trasporti pubblici vi siano numerose carenze a livello nazionale. Circa il 14% degli studenti fuori sede, di cui la maggior parte proveniente dalle zone del Mezzogiorno, deve percorrere un viaggio superiore alle 12 ore per tornare alla propria residenza. Se si aggiungono dunque i prezzi esorbitanti di treni e aerei, molti di questi elettori possono già iscriversi alla lista degli astenuti involontari.
Ciò è confermato anche dalla minore affluenza nelle regioni meridionali (circa 7 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale per le regionali meridionali e 8 per quelle insulari) e dunque dal maggior numero di lavoratori e studenti con domicilio non coincidente con la residenza.
Sebbene la percentuale degli studenti fuori sede con diritto al voto non raggiunga nemmeno l’1%, è dovere dello Stato garantire a chiunque la possibilità di voto nel modo più efficace e comodo possibile. Richiamando infatti l’articolo 3, è bene ricordare che spetta allo Stato impegnarsi attivamente per eliminare ogni ostacolo che impedisce un’effettiva uguaglianza fra i cittadini. Se dunque un cittadino è più agevolato nel votare di un altro è evidente che questa situazione di uguaglianza auspicata dalla Costituzione non vi sia. Ci si augura dunque che, soprattutto dopo il record negativo registrato nelle ultime elezioni, il governo possa ripartire anche da questo per ridare finalmente la sensazione di contare ai cittadini.

C’è chi sostiene che una soluzione efficace al fenomeno dell'astensionismo possa essere quella di rendere il voto obbligatorio, al pari della tassazione e dell’istruzione. A tal proposito è interessante analizzare i dati dei Paesi che hanno applicato questa misura. Questi sono circa 30 in tutto il mondo, ma solo cinque in Europa: Belgio, Grecia, Lussemburgo, Liechtenstein e Turchia. Ognuno di essi con forme e prassi diverse.
Mettere a paragone l’affluenza di vari Paesi è molto complicato poiché il sistema elettorale varia di Stato in Stato. Un metodo efficace è quello di analizzare un’elezione che ha avuto un metodo più o meno uguale per ogni Stato, come ad esempio avviene con l’elezione del Parlamento europeo.
I dati raccolti per le elezioni europee del 2019 vedono il Belgio e il Lussemburgo come i due Stati con l’affluenza più alta, rispettivamente 88,47% e 84,24%; nettamente superiori alla media europea del 50,66%. A giudicare da questi dati si può notare come nei due paesi la misura di rendere il voto obbligatorio sia finora particolarmente funzionale. Dall’altra parte però, la Grecia, anch’essa Stato con obbligo di voto, ha ottenuto una percentuale molto più bassa: intorno al 59%. Questo dimostra come rendere obbligatorio il voto non dia necessariamente la certezza di una diminuzione dell'astensionismo, bensì che il fenomeno sia strettamente legato alla cultura, alla storia e alla popolazione di un paese.
Oltre a ciò, è complicato trovare una linea comune fra Stati con obbligo di voto, soprattutto se si considerano Paesi, come ad esempio Brasile e Turchia, che sono troppo lontani sia culturalmente che istituzionalmente dall’Italia.

astensionismo a livello europeo

Sebbene sia sicuramente molto complesso riconoscere le cause e le soluzioni a questo problema, è altresì importante cercare di trarre delle conclusioni e analizzare lucidamente la situazione del nostro paese. Durante un dibattito organizzato da “Caffeina Politica”, il senatore Graziano Delrio, ospite d’onore della serata, ha sostenuto che la politica è fatta di opinioni e valori. Se nelle prime vi può essere diversità anche all’interno di uno stesso partito, è bene mantenere e difendere quanto meno una coerenza identitaria basata su valori comuni. Ad oggi, ai miei occhi, questa, soprattutto a sinistra, manca. O, se vi è, non traspare come invece dovrebbe. I partiti sono sempre più solo un mezzo per entrare in politica e sempre meno un punto di riferimento ideologico e culturale per i cittadini.
L’astensionismo e il disinteresse verso la politica sono i mali peggiori di cui può soffrire uno stato democratico e il primo compito dei politici deve essere trovare una cura efficace. Il silenzio di 17 milioni di persone che hanno rinunciato al proprio diritto di voto dimostra come ad oggi la libertà non si manifesti più solo tramite la partecipazione. Stare muti quando interpellati è una presa di posizione tanto quanto lo è esprimere la propria opinione.
Non si può più fare finta di niente davanti ad un evidente malcontento e malessere dei cittadini. Non si può far finta di non avere recepito il messaggio. Altrimenti ancora oggi, come più di 2000 anni fa, nell’Antica Grecia, parlare di democrazia è oramai un’iperbole.

Federico Berti


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